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Purtroppo per me, oltre a questo libro, ne ho dovuto studiare altri dello stesso autore, per sostenere un esame nella sua disciplina d'insegnamento, come "Giovani, cultura e famiglia" e "Amore e trasformazioni culturali e sociali" che mi sono sembrati l'uno la rielaborazione non-indispensabile dell'altro. C'è un termine che mi gira in testa con cui potrei stigmatizzare l'opera, e cioè: misogina. Oltre all'agghiacciante disanima sul venir meno della verginità come valore per la donna che, di certo non mi aspettavo di ritrovare in un saggio che si presume dovrebbe essere "scientifico", sulla quale è meglio soprassedere, non sono riuscita a cogliere il legame tra la crisi valoriale che ha investito la post-modernità, la rivoluzione sessuale e l'emancipazione della donna. Sembrerebbe che per l'autore, tutti i mali che affliggono le società odierne siano sostanzialmente riconducibili: 1) al trionfo della sessualità pregenitale, o, in altre parole, all'incapacità dei giovani ed, in particolare, delle ragazzine, di controllare le proprie pulsioni 2)al progresso tecnologico 3)al culto dell'immagine, che si ripercuotono, con esiti destabilizzanti, sulle strutture panottiche di sorveglianza, come la chiesa, la scuola, la famiglia e persino i partiti politici, depotenziandone la compagine unitaria. Una prospettiva, a mio avviso, eccessivamente banale e, per ciò che attiene alla questione relativa all'emancipazione della donna, aggiungerei anche offensiva per il genere femminile che, a mio giudizio, non apporta un grande contributo al panorama scientifico e, più in generale, alla società, visto che di stereotipi anti-ginocratici siamo già sufficientemente forniti. 1) Le donne non sono tutte uguali. 2) La verginità non è un valore, ma una scelta personale. Salverei, con qualche riserva, l'analisi sull'edonismo e sull'investimento narcisistico del corpo e qualche contributo, a mio parere, un tantino travisato, di autori dello spessore di Bauman,Galimberti, Giddens ed Etzioni.
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