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Anna, operatrice di call center laureata in psicologia, è vittima del marito Alberto, irreprensibile promotore finanziario, persuaso che sia legittimo maltrattare una donna i cui atteggiamenti, anche non intenzionali, possano mettere in crisi la sua autorità di maschio-dominante.
Il tema della Corda sensibile è dunque la violenza all’interno della coppia. Alberto fatica ad accettare la libertà di Anna, il suo proposito di lavorare, di occuparsi di sé. È impreparato dinnanzi a una disposizione femminile che elude i narcisistici ordini patriarcali, in base ai quali il maschio si sente in dovere di esibire forza e virilità, a manifestare aggressività anziché gestirla, a difendersi in maniera arrogante, a risolvere i conflitti abbandonandosi a una cieca rabbia.
Ci troviamo insomma di fronte a un povero essere costretto a rimarcare – comportamento tristemente popolare − una posizione di privilegio continuamente messa a repentaglio. Lo fa in nome dei propri interessi, ma anche in nome di quelli del branco dei maschi. È una ragnatela di cui ogni uomo costituisce un filo: così si realizza una complessa struttura che intrappola le donne, ovvero la società fallocentrica responsabile della disuguaglianza di genere.
La ragnatela è tenace, attaccaticcia, avviluppa soggetti anche impensabili e ne guida i movimenti come un invisibile marionettista. Non è raro, infatti, che complici dell’uomo abusante possano essere, paradossalmente, i familiari stessi della vittima. I genitori di Anna, per quanto consapevoli dei maltrattamenti subiti dalla figlia, non vogliono lasciarsi coinvolgere, convinti come sono che la responsabilità sia attribuibile alla donna non meno che all’uomo. L’autrice illustra senza moralismi come il modello genitoriale possa condizionare la crescita dei figli.
L’insicurezza e la vulnerabilità in Anna derivano dai comportamenti intrisi di violenza di cui è stata spettatrice sin dall’infanzia: qui va ricercata l’origine del suo morboso, tossico desiderio mimetico. Il padre di Anna le ha “fatto credere che senza di lui non sarebbe mai stata niente”, quel padre che la “utilizzava come ordigno nella sua guerra di conquista” (contro la madre).
È lui l’artefice della frustrazione di Anna, del profondo senso d’impotenza che prova. Anna non è riuscita, infatti, a configurare la propria vita in modo autonomo né secondo i desideri del padre, e tale difformità la turba.
Recensione di Yasmin Incretolli
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