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Nel corso della narrazione non sono riportati eventi eclatanti ma l’autrice ci accompagna nel lungo viaggio che porta Tsomo dal Bhutan all’India e poi di nuovo in Bhutan, un viaggio che inizia nel 1950 (anno in cui la Cina invade il Tibet) e termina, più o meno, nel 2004; sono questi i pochi riferimenti temporali che si possono dedurre dal libro ma aiutano a comprendere i grandi cambiamenti a cui assiste Tsomo nel corso della sua vita nonostante siano pochissimi i riferimenti ad essi e questo perché il viaggio di cui si parla è il cammino interiore che accompagna la protagonista verso una maggiore consapevolezza di sé e del ruolo della donna nella cultura buddista. Conosco pochissimo del buddismo ma immaginavo che la condizione della donna fosse migliore, probabilmente perché attribuisco una grande tolleranza verso gli altri a questa religione; nascere donna significa non avere accumulato abbastanza meriti nelle vite precedenti per nascere maschi e proprio al maschio spetta obbedienza e sottomissione. Mi ha stupito che la famiglia non ruoti necessariamente attorno a una forma legale di matrimonio: un uomo e una donna vanno a vivere insieme e questo è sufficiente per considerarsi (ed essere considerati) marito e moglie; potrebbe essere un esempio di grande apertura mentale (una sorta di unione civile) se non fosse che la donna non viene in nessun modo tutelata: il marito può decidere di andarsene prendendosi i beni comuni, abbandonando i figli senza incorrere in alcuna sanzione materiale o stigma sociale. Inoltre, al danno si aggiunge la beffa: la responsabilità è sempre attribuita alla donna che, in qualche modo, non è stata in grado di accudire e soddisfare il marito che quindi ha cercato una compagna migliore.
Ottimo racconto che descrive i riti religiosi, le credenze, lo stile di vita e l'emancipazione femminile nelle terre del Buthan, India, Nepal e Tibet. Una lettura semplice che tuttavia non cade nel banale. Peccato che sia l'unica opera di Kunzang Choden tradotta in italiano.
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