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Cimatti indaga il concetto di animalità, partendo dal commento di fotografie in bianco e nero acquistate su bancarelle di robivecchi, in cui il non-umano si accompagna all’umano: personaggi anonimi di ogni età, sesso, condizione sociale posano distrattamente o narcisisticamente, insieme a gatti, cani, cavalli del tutto indifferenti all’obiettivo che li immortala. Oltre alle numerose immagini di sconosciuti, nel libro sono presenti scatti di volti famosi, da Mastroianni a Hemingway, quadri celebri, paesaggi e nature morte, collegati tra loro dalla presenza di dettagli estranianti e inattesi, che hanno la funzione di turbare chi guarda, proponendo qualcosa di inafferrabile, di non facilmente razionalizzabile. Questo particolare inquietante è appunto l’animalità dell’oggetto rappresentato, corpo vivo, edificio, albero, ombra che “spezza la composizione e il progetto iniziale” di chi ha scattato la fotografia, lasciando apparire “il mostro”, il prodigio, l’eccezionalità. Il movimento è bloccato: sul sorriso di una ragazza, su un cagnolino immobile, su una mano o una gamba sbucanti dal margine. “La fotografia è un luogo esemplare dell’animalità, come apparizione improvvisa e spesso anche sgradita di quell’elemento vitale, animale appunto, del mondo che nessun preesistente quadro concettuale riesce a contenere. Perché l’animalità disturba, proprio come la vita disturba, perché è novità e sorpresa”. Essa esprime una lacerazione che rende visibile il mondo: anche l’uomo diviene animale, è visto all’interno di un mondo di intensità pure, aldilà di ogni significato, e “al di qua della distinzione tra conscio e inconscio, fra razionale e irrazionale, fra parola e silenzio… L’animalità non vuole né pensa nulla, non desidera né rimpiange nulla, non manca di nulla”. La riflessione teorica di Felice Cimatti si situa tra indagine psicanalitica e problematicità filosofica, ma nel commento delicato e sensibile alle immagini fotografiche sfiora l’impalpabile grazia della poesia.
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