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E' una di quelle rare volte in cui un libro mi lascia davvero perplessa e non so cosa ho letto. Mi spiego: la trama è talmente forzata da risultare grottesca. Se una scrittrice americana decide di scrivere dell'epoca delle manifestazioni operaie e delle Brigate Rosse in Italia perché ci deve infilare di mezzo personaggi improbabili, assurdi, senza alcuno spessore psicologico in un flusso di pagine che non dicono veramente nulla di nessuno di loro? E' un susseguirsi di immagini seguite da racconti inventati da parte di artistoidi senza alcun vero talento se non quello di passare da un letto all'altro. La ragazza Reno cosa ha imparato dalla sua storia sfortunata con Sandro Valera? Qual è la morale della sua esperienza con il movimento di protesta operaio italiano? Non ci è dato sapere. Tutto è fumoso, senza sostanza, resta sulla superficie e solo l'episodio della visita italiana di Reno e Sandro alla famiglia Valera ricalca un minimo di realtà sullo snobismo insopportabile dei ricchi (italiani e non, col tocco provinciale che solo i ricchi italiani hanno), tutto il resto sono pagine e pagine di inutilità fine a se stessa che non offrono alcuna idea o contenuto in più a quanto letto prima. Qui le cose quindi sono due: o la scrittrice ha veramente vissuto quegli anni ed esperienze simili o il libro è una cantonata pazzesca. Come abbia potuto essere stato candidato al Booker Prize per me italiana resta un mistero, ma conoscendo gli americani so che per loro già il fatto che la Kushner abbia scritto degli anni '70 italiani (in modo che definire brutto è poco) è un grande pregio e sinonimo di conoscenza dell'argomento. Per carità. Non lo consiglio e penso che non leggerò mai più libri scritti da questa autrice.
Sicuramente è un libro scorrevole e ben scritto. Ma è anche molto prevedibile e, dopo non molto, la descrizione romanzata della vita di Reno, che contiene, diviene fine a se stessa, e lascia il lavoro della Kushner in superficie. La visione fornita dell'Italia di quel periodo (che rimane troppo complessa per un'autrice americana) rimane poi decisamente stereotipata e superficiale. Recensirlo come una sorta di capolavoro o, addirittura come "il miglior libro mai scritto sugli anni '70" in Italia, è il miglior segno del provincialismo culturale in cui, nell'era "social" delle opinioni omogeneizzate, il ns. paese è precipitato.
"I lanciafiamme" di Rachel Kushner è un romanzo originale, scritto in uno stile multiforme, mai monotono, tanto meno prevedibile. È ambientato in America e in Italia alla fine degli anni '70 e si articola su vari piani narrativi. La protagonista è una ragazza del Nevada che cerca il suo posto nel mondo. È un personaggio ben riuscito, schietto, ingenuo. Ugualmente ben tratteggiati sono gli uomini in cui s'imbatte e di cui s'innamora. I personaggi negativi sono - per una volta - a più dimensioni, complessi, inafferrabili. Alle vicende di Reno, la protagonista, si alternano quelle di T.P. Valera, che aderisce al Futurismo, partecipa al primo conflitto mondiale come Ardito, diventa uno spietato sfruttatore di operai. A parte qualche disattenzione - peraltro perdonabile - nel lavoro di documentazione, il romanzo della Kushner presenta un'immagine dell'Italia particolarmente vivida e credibile, come è ormai raro trovare nel cinema e nella letteratura americani. Mi ha piacevolmente sorpresa l'assenza di stereotipi, di luoghi comuni, di personaggi macchiettistici: l'Italia e gli italiani sono colti nella loro vera natura, da punti di vista addirittura insoliti. In particolare mi ha colpito l'intuizione della doppia natura degli Arditi: da un lato eroi spericolati, dall'altro uomini il cui credo sono la violenza e la sopraffazione fini a se stesse. Un altro aspetto notevole del romanzo è la contrapposizione tra due mondi, quello artistico newyorkese degli anni '70, con la sua cerchia di artisti usa e getta, l'arte ridotta a performances, la vacuità e la pochezza dei protagonisti che ne dominano la scena, e quello dell'Italia degli scioperi a oltranza, delle manifestazioni, delle rivendicazioni in ogni campo: un paese in rivolta, consapevole, vivo, al cui confronto la New York descritta nel romanzo appare effimera e inconsistente. La Kushner usa una scrittura colta che non pregiudica in alcun modo la scorrevolezza del romanzo. Paragonabile al miglior Philip Roth.
Recensioni
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